Pio Albergo Trivulzio Reloaded

Anche quest’anno la città di Milano ricorda uno dei suoi momenti fondativi. Il 17 febbraio 1992, il giorno dell’arresto di Mario Chiesa, inizio di Mani Pulite. L’anno scorso, proprio in questo periodo, veniva arrestato il consigliere comunale Camillo «Milko» Pennisi, che intascava una tangente da 10mila euro in Via Montenapoleone mentre al telefono programmava il weekend a Forte dei marmi. Quest’anno la celebrazione si fa ancora più filologicamente corretta, con lo «scandalo» degli affitti ai politici delle case di proprietà del Pio Albergo Trivulzio. Dove tutto aveva avuto inizio.

Un anno fa qui c’era un post su  come era andata quel giorno del ’92. Alcuni dei protagonisti avevano raccontato, il carabiniere che aveva svolto l’operazione, Roberto Zuliani, aveva detto:

Una normalissima operazione di servizio, non immaginavamo sviluppi particolari, nessuno aveva l’idea di quello che sarebbe accaduto dopo

(continua a leggere)


Happy birthday Mani Pulite. Oggi Tangentopoli diventa maggiorenne

Non c’entra (con l’argomento di questo blog), ma c’entra. L’arresto di Mario Chiesa. Quali furono le reazioni della città, della politica, dell’informazione? Allora si disse «un mariuolo», oggi la si definisce «pirlaggine». Ma che cosa accadde quel giorno? Parlano l’uomo che arrestò l’ingegnere socialista, il suo avvocato, i giornalisti che seguirono la vicenda

(un’anticipazione dal prossimo numero di MM)

«Una normalissima operazione di servizio, non immaginavamo sviluppi particolari, nessuno aveva l’idea di quello che sarebbe accaduto dopo». Roberto Zuliani ricorda così quell’arresto, un lunedì pomeriggio di diciotto anni fa. Ora il colonnello Zuliani ha 53 anni e dirige il comando provinciale dei carabinieri di Gorizia. Ma il 17 febbraio 1992, alle 14.30 era a Milano, in via Marostica 8, sotto gli uffici del direttore del Pio Albergo Trivulzio, l’ingegner Mario Chiesa. Quel giorno comincia Mani Pulite. È l’inizio della fine della Prima Repubblica.

«Tutto parte da una denuncia di un’associazione degli artigiani, avevo contatti col responsabile. Io mi occupavo di racket, estorsioni, sequestri», ricorda Zuliani. L’imprenditore esasperato quella volta si chiama Luca Magni, titolare della Ilpi di Monza, un’impresa di pulizie che aveva contratti col Trivulzio. Il 14 febbraio Magni racconta tutto ai carabinieri di via Moscova e Zuliani riferisce al magistrato con cui lavora: Antonio Di Pietro.

Preparano il blitz. Il 17 l’imprenditore arriva a Milano con la sua Mitsubishi, Chiesa lo fa aspettare mezz’ora fuori dal suo studio. Quando si incontrano l’ingegnere gli chiede subito la tangente. Il 10 per cento su un appalto di 140 milioni. Magni ha con sé solo la metà di quella cifra. Tutto in una busta: sette milioni di lire. Ma una banconota ogni dieci è firmata da un lato dal capitano Zuliani e dall’altro dal sostituto procuratore che coordina quell’operazione: Antonio Di Pietro. I carabinieri fanno irruzione nell’ufficio, scattano le perquisizioni.

Per Zuliani, neanche Di Pietro era consapevole fino in fondo di quello che sarebbe accaduto dopo: «Entrò nelle indagini nel momento in cui ci si presentò la necessità di fare delle intercettazioni ambientali». Quel giorno Tonino era il pm di turno.

«Quella fu l’iskra, la scintilla, come dicono in russo, da cui partì l’incendio che devastò la prateria, ma la prateria era già pronta ad essere incendiata», afferma oggi Nerio Diodà, l’avvocato che difese Chiesa. «Quando seppi cos’era successo ero in Corte d’Appello in attesa di una sentenza. Raggiunsi la Baggina alle 18, vidi Chiesa lì, poi lo portarono in questura e la notte a San Vittore». «In quel periodo abbiamo arrestato molta gente abituata a frequentare salotti e ambienti di un certo tipo. Improvvisamente si trovarono di fronte al portone di un carcere», ricorda Zuliani. L’avvocato Diodà ha ancora ben presente «il disagio e la meraviglia» di Mario Chiesa davanti alla sua cella.

La notizia dell’arresto arriva presto nelle stanze del potere milanese. Il consiglio comunale sta discutendo le nomine di società controllate. Democristiani e socialisti si dividono sulle poltrone di Coreco e Sea. Ad un certo punto l’aula inizia a mormorare.

«Quando comincia ad arrivare la notizia, casualmente affianco a me c’era Bobo Craxi», racconta Elisabetta Soglio, de Il Corriere della sera, all’epoca a Palazzo Marino per Avvenire. Il rampollo socialista era segretario del partito milanese. «Bobo liquida la cosa in modo sprezzante, gli altri tendono a scaricarlo e a minimizzare. Molti non sapevano neanche chi fosse Mario Chiesa, solo più tardi si sarebbe scoperto quanto contava all’interno dell’organigramma del Psi».

Nel frattempo in consiglio il mormorio aumenta. «Allora prende la parola Tommaso Staiti di Cuddia del Msi e chiede a Piero Borghini chiarimenti sulla notizia», continua la Soglio. Borghini era sindaco da meno di un mese. In quel periodo sui manifesti che incominciavano a tappezzare la città in vista delle elezioni politiche del 5 aprile campeggiava la faccia sorridente di Bettino Craxi e lo slogan del Psi: «Milano al centro del progresso italiano». Di lì a poco tutto quel sistema di potere sarebbe stato spazzato via.

Nelle redazioni italiane la notizia arriva con un lancio dell’Ansa delle 22.16. Titolo: «Amministratore casa di riposo arrestato per concussione». Ma nei quotidiani di martedì 18 febbraio non sarà in prima pagina. Non molto tempo dopo Mani Pulite avrà tutta l’attenzione dell’informazione.

Vittorio Feltri era da pochi giorni alla guida de L’Indipendente, nei mesi successivi triplicherà le vendite seguendo le inchieste. «Avevo grandissima fiducia in Di Pietro, lo conoscevo da quando era a Bergamo», afferma l’attuale direttore de Il Giornale. «Avevamo capito invece la sfiducia che c’era verso i socialisti. Quel periodo non è proprio da rimpiangere, non erano per niente bei tempi. Il Psi prendeva i soldi dei cittadini, il risultato è che Milano non aveva il passante e la metropolitana per l’aeroporto».

Nel 2009 si è tornati a parlare di Mario Chiesa. È stato accusato di truffa aggravata ai danni dello Stato e associazione per delinquere finalizzata allo smaltimento illegale di rifiuti. A dicembre ha patteggiato una pena di tre anni e sei mesi. Stavolta neanche un giorno di carcere, grazie all’indulto.

«Ho sorriso, quando l’ho saputo», dice Roberto Zuliani. «Da allora sono cambiate tante cose, vedo anche che sono cambiati i giudizi di molti su quella stagione. Chi all’epoca la pensava in un modo, ora la pensa in un altro. Spesso sento valutazioni che non hanno un fondamento, giudizi sostenuti senza dati alla mano o con interpretazioni che non hanno nulla a che vedere con la realtà. Ma noi abbiamo fatto tutto nei termini previsti dalle norme, nel nostro lavoro non c’era nessuna interpretazione personale».